I saw the flames burn out in your eyes

Theo e Adam sono i componenti di una band di Manchester, sì un’altra, che sta travolgendo chiunque: nel mondo indie-electro oramai conoscono tutti gli Hurts, ma nel caso in cui non si conoscano qui trovate qualche informazione.

Theo e Adam formano questi stramaledetti Hurts e finalmente “Happiness” è uscito, il 6 settembre, e lo si può ascoltare: diciamo che ho atteso un po’ quest’uscita e ora che finalmente la posso ascoltare sono meno ansiosa.
E’ un album che scivola addosso, sulla pelle, e che rimane facilmente in testa: sembra un uragano di musica synthpop-electro-e non solo che travolge e avvolge chi ascolta, sarà a causa della voce di Theo ultra-orecchiabile, piacevole, e meravigliosa.
Inutile che mi metta a parlare di riferimenti ed influenze: come ogni gruppo del genere, l’influenza della dance\electro anni ’80 c’è ed è inevitabile poiché l’evoluzione musicale di questi ultimi anni richiede quei generi e i gruppi devono seguire quest’ondata per non rimanere indietro e perdersi nel banale.
Non bisogna farsi ingannare però, poiché Happiness ricopre più generi e ruoli: a un certo punto si rimane a bocca aperta per quello che il duo di Manchester combina.
Happiness è un gran bell’album e diverso dalla solita musica synthpop-electro: una qualità di molte band del genere, ovviamente non tutte perché c’è chi copia altri spudoratamente, è che riescono a differenziarsi l’una dall’altra con uno o più aspetti che appartengono solo ed unicamente a loro.
Gli Hurts hanno trovato le giuste qualità, le giuste melodie e i giusti ritmi per farsi amare, poiché, come ho già detto, Happiness è un album davvero vario e ricco di particolari: tracce Dancefloor in puro stile anni ’80 in cui è impossibile stare fermi, per esempio i singoloni “Better Than Love” e “Wonderful Life” oltre a “Devotion”, che vede la partecipazione di Kylie Minogue; tracce pop che sembrano delle meravigliose ballate , la bellissima “Sunday” per esempio, marcate da meno synth e più poesia a livello melodico\armonico\vocale; tracce, con violini e pianoforte, ricche di sensazioni imponenti e sublimi come “Unspoken” e la meravigliosa “Water” , in cui i due strumenti citati poco fa e la voce fanno quasi venire i lacrimoni.
Chiude la ghost track, imponente e à la Moulin Rouge con un buon riferimento al cantato lirico.
I singoli sono le tracce più travolgenti a livello danzereccio, ma l’intero album degli Hurts cattura l’attenzione per il mescolarsi tra generi e lo scontrarsi tra diverse sensazioni, e come un vento leggero, a tratti, o un uragano, in altri, travolge i sensi di chi ascolta e li confonde.
Caos, bellezza e subliminazione dei sensi entrano in collisione: basta questo per descrivere Happiness, e bravissimi questi Hurts che in un solo album riescono a far rivivere più sonorità ed emozioni.

Tracklist:

1. “Silver Lining”
2. “Wonderful Life”
3. “Blood, Tears & Gold”
4. “Sunday”
5. “Stay”
6. “Illuminated”
7. “Evelyn”
8. “Better Than Love”
9. “Devotion”
10. “Unspoken”
11. “The Water”

Better than love

Unspoken

Mio caro amico Win(nie Pooh)

Sono davvero pronta a scrivere questo resoconto sul concertone di ieri, aka primo giorno dell’ I-day festival? Non lo so, ma provo.
Alle 15, quando ancora non ci sono tante persone, io e Laura arriviamo davanti ai cancelli dell’Arena Parco Nord, che apriranno un quarto d’ora dopo.
Si entra, si perlustra la zona e intanto inizia la band italiana, Joycut, che ho considerato veramente in minima parte: quello che posso dire con certezza è che ci sono band italiane nettamente migliori di loro.

Il mio concerto inizia con la band inglese, che arriva dopo questi Joycut, ovvero i Chapel Club: band che mi incuriosiva parecchio prima di questo concerto, ma di cui non ho trovato niente sul web, se non i video di youtube.
Non appena entra quest’uomo

si iniziano a fare apprezzamenti sul suo essere inglese.
A parte questa piccola scia di groupismo, inizio ad ascoltare la band che si mostra veramente interessante e valida: indie, quello che volete, ma con sfumature decisamente più dark e certamente non prevedibili. Non sono la solita indie-rock band inglese, decisamente no.
La voce sottolinea proprio questo lato cupo e più che indie, sarebbe meglio definirli come una band che riprende tratti del classico “post-punk”.
Aspetto l’album e magari un altro live per capire al meglio questa band, che ieri mi ha colpita veramente tanto.

La band che aspettavo più dei Modest Mouse e meno degli Arcade Fire, è quella che segue i Chapel Club, i Fanfarlo.

Il loro album, nonostante i tanti ascolti mesi prima di questo concerto, non mi è entrato in testa per niente e temevo anche per questo live.
Quanto mi sbagliavo.
Questa band indie-pop di Londra si mostra all’altezza e viene subito apprezzata dal pubblico, che intanto sta aumentando numericamente.
I Fanfarlo si possono descrivere con pochi aggettivi: teneri, semplici, chiari e, soprattutto, capaci.
Capaci perché sanno suonare bene molti strumenti a loro disposizione; sono puliti e lucidi sia a livello vocale che sonoro; sono semplici e allo stesso tempo riempiono l’aria di musica ricca e piena di particolari sonori.
La band mostra dall’inizio fino a fine concerto una certa umiltà e semplicità, qualità che piacciono tanto al pubblico che li ascolta e rimane coinvolto da quest’atmosfera serena\sognante data proprio dalla loro musica.
Questi Fanfarlo sono veramente tanto bravi e potrebbero essere, a causa del saper suonare bene ogni strumento di cui fanno uso e del loro essere puliti e chiari, i figliastri degli stessi Arcade Fire.

Passiamo poi alla penultima band: i Modest Mouse.

Se i Fanfarlo sono dei ragazzini dolci e puliti, i Modest Mouse sono dei pazzi schizofrenici e senza un minimo di buon senso, a livello musicale ovviamente.
Inizialmente credevo che l’acustica facesse veramente schifo poiché non riuscivo a sentire la voce del cantante: mi accorgerò, in seguito a 3-4 canzoni, che non è colpa dell’acustica.
Il cantante, per esaltare l’ aspetto da “pazzo-fottuto di mente”, ha una voce quasi spezzata: a tratti la si comprende, a tratti non si capisce niente.
E’ una cosa voluta dallo stesso vocalist e, nonostante non amassi tanto questa sua scelta, riescono a prendermi.
A livello strumentale, invece, mi sono sembrati parecchio movimentati, multiformi e particolari: la band mostra una certa esperienza e sicuramente sa come muoversi su un palco.
La presenza scenica è decente e fanno muovere una buona parte di pubblico, ormai ci siamo tutti.
Ammetto di non conoscere benissimo questa band, ma devo dire che mi ha preso parecchio, nonostante quella voce così spezzata che mi ha lasciata un po’ perplessa.

Passiamo alla band sulla quale vorrei scrivere un romanzo intero: gli Arcade Fire.

Gli Arcade Fire si presentano alle 21.30 spaccate sul palco dell’ I-day: c’è tantissima gente per loro che immediatamente viene sommersa dall’ondata musicale di “Ready to start”, il nuovo singolo della band canadese.
Appena i magnifici otto entrano sul palco, arriva in me un senso di perdita estrema, una certa malinconia: non sto male, ma sento qualcosa di veramente incredibile e indescrivibile che mi avvolge.
Dopo il singolo, arriva “Month of May”, altra canzone del nuovo album che amo alla follia e che registro, mentre la mia testa è in pieno Caos. Questo pezzo viene esaltato alla follia dalla band guidata da Win, grazie agli effetti sonori dati dai megafoni: sembra che il pubblico sia avvolto da una brezza fresca in grado di travolgere e poi rimettere tutto in ordine. Un uragano.
Ciò che mi fa passare tutto è quello che a fine concerto ho descritto come un’apocalisse interiore: con “Neighborhood 1 (Tunnel)” e “Crown of Love” esplodo in lacrime come un’idiota, senza pensare ai quintali di eyeliner e mascara (una furbona insomma) che poi mi coleranno sul viso, e non riesco a cantare, non riesco a rendermi conto di tutto e alla fine mi perdo nell’atmosfera incantata, perfetta che creano questi Arcade Fire con la loro MUSICA.
Règine, una donna meravigliosa e fantastica, lascia la batteria per passare avanti a cantare: arriva la canzone à la Blondie che mi ha colpita fin dal primo ascolto su album, “Sprawl II”.
Règine ha una voce incredibile, dolce, quasi da bambina e che farebbe commuovere anche un sasso; i suoi movimenti, quando balla, sono sereni, liberi e che arricchiscono l’incredibile presenza scenica che cattura e avvolge chi è presente.
Il concerto passa con le “sviolinate” di “The Suburbs”, la bellissima “Suburban War” , l’atmosfera spirituale creata dalla meravigliosa “Intervention” e dalla movimentata, almeno alla fine, “Modern Man”.
Inaspettate, almeno per la sottoscritta, sono state “No Cars Go”, sulla quale credo di aver lasciato un polmone all’arena parco nord tanto che ho urlato, e quella sensazione sognante data da “Haiti”.
Segue, poi, una canzone che non mi piace proprio, “We used to wait”, ma devo ammettere che anche questa live rende molto di più che su album.
Tornano le lacrime e torna la sensazione “ora-un-polmone-lo-lascio-all’-arena-intanto-c’è-l’altro!”, dato che prima viene interpretata una tra le mie canzoni preferite, “Neighborhood 3 (Power out)” e, successivamente, “Rebellion \ Lies”.
Per un istante tutto per me si ferma, la band non è più sul palco e mi sembra di vivere un sogno: gli Arcade Fire non hanno finito, manca l’encore.
La band torna sul palco dopo pochissimi minuti: è il momento di “Keep the car running” e della classica, ma che non deve mai mancare, “Wake up” che sopraffanno il pubblico che balla, salta, canta a squarciagola, si commuove e sogna.
Un concerto indescrivibile e che ho vissuto a pieno: credo di non aver mai provato emozioni e sensazioni così contrastanti tra loro a un evento del genere.
Gli Arcade Fire sono completi, perfetti, geniali, affascinanti, pieni di fantasia e ricchi di Musica sconvolgente: le sensazioni che creano e che interpretano una volta assorbite, non abbandonano più corpo e anima di chi li ha vissuti a pieno, di chi li ha visti in concerto.
Presenza scenica perfetta: tutti gli elementi della band, escludendo le due magnifiche violiniste, sanno suonare tutto e si alternano con una facilità incredibile mostrando carattere e grande tecnica.
La scenografia fa parte di tutto ciò: riferimenti al cinema muto-classico, scene e immagini che si alternano e giochi, semplici ma suggestivi, di luce riempiono quest’atmosfera viva e sognante che circonda tutto il pubblico di Bologna.
Incredibili e perfetti.
Questi Arcade Fire, in un’ora e mezza, mi hanno fatto provare tutto ciò che, solitamente, più band e di diverso genere mi fanno sentire.
Loro sono stati perfetti, sono decisamente migliori rispetto ad album e descrivere il loro spettacolo è impossibile: bisogna viverlo per poter comprendere a pieno tutto.

Dopo il passaggio dei Muse da musicisti a bimbiminchia, ho perso il punto di riferimento, la “band preferita”, il gruppo che mi sconvolge l’anima e il corpo: credo di averlo ritrovato.
Gli Arcade Fire mi rendono viva per davvero e ieri sera la loro musica mi ha fatto respirare, di nuovo.

Cazzo, che concerto.

Live fast, die young

Piccola premessa prima di parlare del prossimo album: appena vidi il video “Dance the way I feel”, un pomeriggio di qualche mese fa su brand:new di sky, pensai a: “Oddio ma cosa credono di voler fare questi qui?!”.
Dopo aver visto, ancora, vari altri video su youtube e aver sentito ottimi pareri su questa band, mi sono informata un po’ di più: sto parlando degli Ou est le Swimming Pool, band di Londra del genere synthpop-electro stile anni ’80-indie.

Il 20 agosto il cantante ventiduenne della band in questione decise di compiere un volo suicida, proprio dopo la loro esibizione devastante al Pukkelpop quando lo stesso Charles Haddon travolse una fan durante lo stage diving.
Il giorno dopo la morte di Charles Haddon, oltre alle tante dediche di altri musicisti e i dolci commenti da parte dei fan, sul web è subito comparso il loro primissimo album che uscirà ad ottobre, “This golden years”. A questo propopsito mi viene da pensare ai tanti poeti, scrittori e pittori che solo subito dopo la loro morte sono stati apprezzati: non mi sembra il caso di questa band che, almeno in Inghilterra, era\è abbastanza stimata da un pubblico molto giovane e non.
Torniamo all’album, “This Golden Years”, che non è niente di così innovativo e marcato rispetto a tanti altri, ma che fin dal primo ascolto prende, fa riflettere e incuriosisce tanto chi lo ascolta.
Le prime tre canzoni sono marcate da sound electro ben più evidenti e di chiaro riferimento agli anni ’80: sono tracce da dancefloor coinvolgenti e, almeno per i concerti, sembrano piuttosto devastanti, niente a che vedere con Klaxons o Lateofthepier comunque.
L’album, dopo questo “intro” di tre tracce piuttosto movimentato, si calma con la bellissima e che rimane in testa fin da subito, forse per il ritmo e la melodia così orecchiabile, “Outside”.
L’album continua su una scia marcata da tranquillità e meno aspetti da “dancefloor \\ devasto”: ci sono i synth e le tastiere, ma tutto sembra placarsi e assumere una certa leggerezza melodica, in cui “Our lives” ne è un altro esempio ben evidente.
Dopo questa pausa di riflessione personale, basata sempre sull’aspetto amato tanto dalle giovani band “vita-esperienze”, si torna a danzicchiare un po’ su “The Feeling”, ma l’ultima “Next to nothing” è una versione lenta di “Dance the way I feel”, a livello melodico ovviamente, e una canzone che lascia una traccia di solitudine \ tristezza su chi, intanto, ascolta.
Un buon album, molto orecchiabile e schizofrenico a causa di questi cambi di umore, ma che alla fine dell’ascolto lascia un po’ di amaro in bocca e lascia parecchio perplessi: questo o è dovuto al fatto che non li vedremo mai in concerto o proprio a causa di questa lenta ondata di depressione \ tristezza che si distende da “Outside” fino alla fine.

Tracklist

1. Jackson’s Last Stand
2. These New Knights
3. Dance the Way I Feel
4. Outside
5. Better
6. The Key
7. Our Lives
8. The Feeling
9. Get Along
10. Curtain Falls
11. Next to Nothing

No end to the madness. Ladies and gentlemen: Surfing the void.

Come i Foals, anche i Klaxons nel loro nuovo album “Surfing the void” cercano di ricollegarsi, certo in maniera meno tragica, rabbiosa e\o personale rispetto ai puledri, a un futuro.
Futuro e spazio sono due elementi fondamentali presenti nel nuovo album della band di Jamie, James e Simon, ma a differenza di quel “Myths of the near future” che nel 2006\2007 era qualcosa di “nuovo” nel panorama indie e la band una tra le maggiori esponenti della cosiddetta New Rave, questo “Surfing The Void” è di un altro pianeta.
Surfing The Void è un album che è stato realizzato con una calma durata circa 2 anni, non a caso gli stessi musicisti hanno avuto grande difficoltà a costruirlo passo dopo passo: nonostante tutto la band londinese è tornata e propone, anche questa volta, qualcosa di nuovo e da ballare come dannati dall’inizio alla fine senza prendere fiato.
Sicuramente questo Surfing the void è decisamente più “cupo” e inquietante del precedente, almeno per quanto riguarda la maggior parte delle tracce: i Klaxons usano delle voci taglienti e affilate come coltelli pronte a colpire senza pietà la psiche di chi ascolta, mentre le tastiere, prime tra tutti gli altri strumenti, propogono suoni che evocano più scene da film fanta-horror.
I klaxons hanno questa pazzia geniale che stupisce e trasferisce l’ascoltatore su un mondo parallelo, un pianeta diverso, veramente spaventoso ma allo stesso tempo affascinante e quasi sensuale.
“Venusia” è l’esempio massimo di questa sensualità, forse perché c’è qualche riferimento sonoro à la Depeche Mode, o forse perché quel “Take me by the hand” cattura e fa impazzire chi ascolta.
Un album malato che mostra una personalità schizofrenica: canzoni più calme e caratterizzate da un’atmosfera quasi sognante, “Echoes”, “Twin Flames” e “Future Memories”, si mescolano a una personalità violenta e, appunto, da film fanta-horror, data da tracce come “Valley of the calm trees” o “Extra Astronomical”.
Dei folli geniali, questo e niente altro sono i Klaxons: entrano nella testa, condizionano la mente e fanno vagare\annegare nella loro musica chi li ascolta.

Tracklist

1. Echoes
2. The Same Space
3. Surfing The Void
4. Valley of The Calm Trees
5. Venusia
6. Extra Astronomical
7. Twin Flames
8. Flashover
9. Future Memories
10. Cypherspeed

(Echoes = una tra le canzoni più belle di quest’anno)