Sono davvero pronta a scrivere questo resoconto sul concertone di ieri, aka primo giorno dell’ I-day festival? Non lo so, ma provo.
Alle 15, quando ancora non ci sono tante persone, io e Laura arriviamo davanti ai cancelli dell’Arena Parco Nord, che apriranno un quarto d’ora dopo.
Si entra, si perlustra la zona e intanto inizia la band italiana, Joycut, che ho considerato veramente in minima parte: quello che posso dire con certezza è che ci sono band italiane nettamente migliori di loro.
Il mio concerto inizia con la band inglese, che arriva dopo questi Joycut, ovvero i Chapel Club: band che mi incuriosiva parecchio prima di questo concerto, ma di cui non ho trovato niente sul web, se non i video di youtube.
Non appena entra quest’uomo
si iniziano a fare apprezzamenti sul suo essere inglese.
A parte questa piccola scia di groupismo, inizio ad ascoltare la band che si mostra veramente interessante e valida: indie, quello che volete, ma con sfumature decisamente più dark e certamente non prevedibili. Non sono la solita indie-rock band inglese, decisamente no.
La voce sottolinea proprio questo lato cupo e più che indie, sarebbe meglio definirli come una band che riprende tratti del classico “post-punk”.
Aspetto l’album e magari un altro live per capire al meglio questa band, che ieri mi ha colpita veramente tanto.
La band che aspettavo più dei Modest Mouse e meno degli Arcade Fire, è quella che segue i Chapel Club, i Fanfarlo.
Il loro album, nonostante i tanti ascolti mesi prima di questo concerto, non mi è entrato in testa per niente e temevo anche per questo live.
Quanto mi sbagliavo.
Questa band indie-pop di Londra si mostra all’altezza e viene subito apprezzata dal pubblico, che intanto sta aumentando numericamente.
I Fanfarlo si possono descrivere con pochi aggettivi: teneri, semplici, chiari e, soprattutto, capaci.
Capaci perché sanno suonare bene molti strumenti a loro disposizione; sono puliti e lucidi sia a livello vocale che sonoro; sono semplici e allo stesso tempo riempiono l’aria di musica ricca e piena di particolari sonori.
La band mostra dall’inizio fino a fine concerto una certa umiltà e semplicità, qualità che piacciono tanto al pubblico che li ascolta e rimane coinvolto da quest’atmosfera serena\sognante data proprio dalla loro musica.
Questi Fanfarlo sono veramente tanto bravi e potrebbero essere, a causa del saper suonare bene ogni strumento di cui fanno uso e del loro essere puliti e chiari, i figliastri degli stessi Arcade Fire.
Passiamo poi alla penultima band: i Modest Mouse.
Se i Fanfarlo sono dei ragazzini dolci e puliti, i Modest Mouse sono dei pazzi schizofrenici e senza un minimo di buon senso, a livello musicale ovviamente.
Inizialmente credevo che l’acustica facesse veramente schifo poiché non riuscivo a sentire la voce del cantante: mi accorgerò, in seguito a 3-4 canzoni, che non è colpa dell’acustica.
Il cantante, per esaltare l’ aspetto da “pazzo-fottuto di mente”, ha una voce quasi spezzata: a tratti la si comprende, a tratti non si capisce niente.
E’ una cosa voluta dallo stesso vocalist e, nonostante non amassi tanto questa sua scelta, riescono a prendermi.
A livello strumentale, invece, mi sono sembrati parecchio movimentati, multiformi e particolari: la band mostra una certa esperienza e sicuramente sa come muoversi su un palco.
La presenza scenica è decente e fanno muovere una buona parte di pubblico, ormai ci siamo tutti.
Ammetto di non conoscere benissimo questa band, ma devo dire che mi ha preso parecchio, nonostante quella voce così spezzata che mi ha lasciata un po’ perplessa.
Passiamo alla band sulla quale vorrei scrivere un romanzo intero: gli Arcade Fire.
Gli Arcade Fire si presentano alle 21.30 spaccate sul palco dell’ I-day: c’è tantissima gente per loro che immediatamente viene sommersa dall’ondata musicale di “Ready to start”, il nuovo singolo della band canadese.
Appena i magnifici otto entrano sul palco, arriva in me un senso di perdita estrema, una certa malinconia: non sto male, ma sento qualcosa di veramente incredibile e indescrivibile che mi avvolge.
Dopo il singolo, arriva “Month of May”, altra canzone del nuovo album che amo alla follia e che registro, mentre la mia testa è in pieno Caos. Questo pezzo viene esaltato alla follia dalla band guidata da Win, grazie agli effetti sonori dati dai megafoni: sembra che il pubblico sia avvolto da una brezza fresca in grado di travolgere e poi rimettere tutto in ordine. Un uragano.
Ciò che mi fa passare tutto è quello che a fine concerto ho descritto come un’apocalisse interiore: con “Neighborhood 1 (Tunnel)” e “Crown of Love” esplodo in lacrime come un’idiota, senza pensare ai quintali di eyeliner e mascara (una furbona insomma) che poi mi coleranno sul viso, e non riesco a cantare, non riesco a rendermi conto di tutto e alla fine mi perdo nell’atmosfera incantata, perfetta che creano questi Arcade Fire con la loro MUSICA.
Règine, una donna meravigliosa e fantastica, lascia la batteria per passare avanti a cantare: arriva la canzone à la Blondie che mi ha colpita fin dal primo ascolto su album, “Sprawl II”.
Règine ha una voce incredibile, dolce, quasi da bambina e che farebbe commuovere anche un sasso; i suoi movimenti, quando balla, sono sereni, liberi e che arricchiscono l’incredibile presenza scenica che cattura e avvolge chi è presente.
Il concerto passa con le “sviolinate” di “The Suburbs”, la bellissima “Suburban War” , l’atmosfera spirituale creata dalla meravigliosa “Intervention” e dalla movimentata, almeno alla fine, “Modern Man”.
Inaspettate, almeno per la sottoscritta, sono state “No Cars Go”, sulla quale credo di aver lasciato un polmone all’arena parco nord tanto che ho urlato, e quella sensazione sognante data da “Haiti”.
Segue, poi, una canzone che non mi piace proprio, “We used to wait”, ma devo ammettere che anche questa live rende molto di più che su album.
Tornano le lacrime e torna la sensazione “ora-un-polmone-lo-lascio-all’-arena-intanto-c’è-l’altro!”, dato che prima viene interpretata una tra le mie canzoni preferite, “Neighborhood 3 (Power out)” e, successivamente, “Rebellion \ Lies”.
Per un istante tutto per me si ferma, la band non è più sul palco e mi sembra di vivere un sogno: gli Arcade Fire non hanno finito, manca l’encore.
La band torna sul palco dopo pochissimi minuti: è il momento di “Keep the car running” e della classica, ma che non deve mai mancare, “Wake up” che sopraffanno il pubblico che balla, salta, canta a squarciagola, si commuove e sogna.
Un concerto indescrivibile e che ho vissuto a pieno: credo di non aver mai provato emozioni e sensazioni così contrastanti tra loro a un evento del genere.
Gli Arcade Fire sono completi, perfetti, geniali, affascinanti, pieni di fantasia e ricchi di Musica sconvolgente: le sensazioni che creano e che interpretano una volta assorbite, non abbandonano più corpo e anima di chi li ha vissuti a pieno, di chi li ha visti in concerto.
Presenza scenica perfetta: tutti gli elementi della band, escludendo le due magnifiche violiniste, sanno suonare tutto e si alternano con una facilità incredibile mostrando carattere e grande tecnica.
La scenografia fa parte di tutto ciò: riferimenti al cinema muto-classico, scene e immagini che si alternano e giochi, semplici ma suggestivi, di luce riempiono quest’atmosfera viva e sognante che circonda tutto il pubblico di Bologna.
Incredibili e perfetti.
Questi Arcade Fire, in un’ora e mezza, mi hanno fatto provare tutto ciò che, solitamente, più band e di diverso genere mi fanno sentire.
Loro sono stati perfetti, sono decisamente migliori rispetto ad album e descrivere il loro spettacolo è impossibile: bisogna viverlo per poter comprendere a pieno tutto.
Dopo il passaggio dei Muse da musicisti a bimbiminchia, ho perso il punto di riferimento, la “band preferita”, il gruppo che mi sconvolge l’anima e il corpo: credo di averlo ritrovato.
Gli Arcade Fire mi rendono viva per davvero e ieri sera la loro musica mi ha fatto respirare, di nuovo.
Cazzo, che concerto.