Socc’mel, cazzomerda e grazie: ovvero il concerto dei Foals a Bruxelles.

EPICO. Se andate a cercare questa parola sul dizionario trovate come sinonimo cinque facce di musicisti chiamati FOALS accompagnati dalla parola “concerto”. Il sinonimo di EPICO, dunque, è FOALS IN CONCERTO.

A Edimburgo mi stavo pisciando addosso dalla paura e dall’ansia.
A Bruxelles, prima che iniziassero i Foals, ho detto a Chicca: ” Oh cazzo, ora sbocco l’anima in faccia al nano e lo faccio diventare biondo… Oddio che cazzo di scena orribile! Biondo?? Meglio di no”.
Prima fila, nessuna transenna (roba che se ti spingono finisci in braccio ai musicisti) e davanti a noi c’è l’asta del microfono di Yannis Philippakis (roba che se gli prende male, ti uccide).
Non ho idea di che ora sia, ho l’ansia, un macigno sullo stomaco e poi finalmente si spengono le luci.

Invisible sono un trio di Londra il cui genere è impossibile da descrivere perché in mezzo alla loro musica ci sono tanti e troppi spunti per definire la corrente della quale fanno parte.

Sicuramente sono uno dei gruppi spalla più bravi che abbia mai visto, nonostante la voce dell’omone-frontman sia troppo sottile e resti bassa per tutto il concerto.
Dal punto di vista strumentale sono mo.., scusate SONO MOSTRUOSI e lo scrivo così per rendere al meglio l’idea.

Il genere vaga dal post-rock, per tutta l’importanza che danno alla parte strumentale, al jazz, ebbene si ha pure quest’influenza, al grunge e all’indie-rock più comune con qualche piccolo riferimento all’elettronica.
SONO DAVVERO BRAVI. Punto.

Il pubblico è tranquillo, fin troppo, e il locale, grande quanto le due sale del Covo, è pieno di gente. C’è il sold out.
Sul palco salgono i cinque di Oxford e l’ansia si triplica. Partono con Blue Blood e la scaletta sarà uguale a quella di Edimburgo, scartando Two Trees.
Non mi sognerei mai di fare due concerti con la stessa scaletta, ma sono i Foals e, come per i Franz Ferdinand, questi hanno una grandissima qualità in più che viene a mancare a molte grandi e spettacolari band come Arcade Fire: l’improvvisazione.
Oltre all’improvvisazione, c’è anche la sorellina chiamata imprevedibilità: non si sa cosa voglia fare la band sul palco.
Il pubblico è fermo, un bel po’ moscio… che bello non siamo in Italia: senza transenne, appiccicata ad un palco e proprio ai piedi di quel disgraziato che vorrebbe ballare come Michael Jackson, schizofrenico, che non sta un attimo fermo e ha una spugna di mare sulla testa che gli fa da capelli.

La solita mina vagante, ma questa volta leggermente più calmo perché invece di buttarsi dagli amplificatori si arrampica, scende da una scalinata al lato dove ci sono backliner\tecnici e infine ricompare all’improvviso in mezzo al pubblico, accompagnato bene da quell’altro che si sposta e danzereccia in continuazione, Walter al basso.
A Jimmy parte un pedale dalla chitarra forse montato male e a un certo punto, non sapendo cosa fare, inizia a ballare: avrei voluto filmarlo.

I Foals iniziano a improvvisare, molto più di Edimburgo, e hanno la stessa carica di un mese fa: un loro concerto non potrà mai essere uguale a quello del giorno dopo e nonostante un tour interminabile riescono a mantenersi in forma, almeno sul palco perché all’aftershow… Poveracci, non ce la facevano più.
Rispetto a Edimburgo, la voce di Yannis è migliorata e molto più profonda (grazie al rum che si è scolato?), ma l’uomo al basso… Walter è UN BASSISTA DELLA MADONNA.

Bassista e batterista solitamente vanno insieme e Jack Bevan alla batteria è uno dei più bravi batteristi che abbia mai visto live. Con due braccina così scatena il putiferio.

I Foals sono davvero tutti troppo bravi: Edwin alle tastiere crea quelle melodie schizofreniche che farebbero ballare chiunque, peccato che il pubblico di Bruxelles non fosse ben predisposto per il ballo o i saltelli.

Il delirio e, finalmente, le prime spinte iniziano a farsi sentire solo sulla penultima canzone “Hummer”, in cui noi del pubblico ci preoccupiamo di canticchiare quel “Shine like million” che mancano i back-vocalist e la sottoscritta lancia il telefono a terra per poter ballare come un’idiota (alla fine il telefono me lo riconsegnerà un ragazzo gentilissimo… Dato che lo avevo perso), e ovviamente su quella traccia meravigliosa che è “Two Steps Twice”, la classicona che chiude il concerto e che in questo caso fa impazzire-partire di testa-arrivederciegrazie.
Electric Bloom, però, è la canzone “da paura” sia per l’improvvisazione, sia per il fatto che SpongYannis prima inizia a spaccare le bacchette su un tamburo (ora capisco le 2000£ spese per le drumsticks), poi si arrampica e infine me lo ritrovo di fianco, dopo essersi buttato tra la gente cercando di passare da qualche parte (dove sono io è un po’ impossibile dato che ci sono gli amplificatori e in mezzo l’asta del tuo microfono, vedi tu!). E’ incazzatissimo Yannis e su questa canzone vuole esplodere, sia a livello vocale che corporeo: impressionante come sempre.
L’altra canzone della madonna che colpisce e avvolge tutti i presenti è Spanish Sahara, eseguita alla PERFEZIONE, ancora una volta, e cantata a un volume improponibile dalla sottoscritta che lascia un polmone ai piedi di Yannis.
I Foals si sono mostrati, ancora una volta, la miglior band del 2010. Sono incredibili e non hanno bisogno di uno spettacolo premeditato e uguale ad ogni singolo concerto per coinvolgere il pubblico: a loro basta salire su un palco e improvvisare, o buttarsi… In tutti i sensi.

A fine concerto li si aspetta fuori, con altre due ragazze del Belgio conosciute al concerto, per scambiarci due chiacchiere e a farci dire dove sarà l’aftershow con dj set di quell’altro pazzo-geniale uomo di nome Dan (colui che ha dato vita ai Caribou), Edwin e Dave, voce Invisible.
Yannis esce e parlando di Grecia, cibo, Italia, italiani in Grecia e roba simile, ci dice poi che l’unica parola che conosce in italiano è “vaffanculo”: davvero?? Non me lo sarei mai aspettata. L’uomo spugna non riesce nemmeno a dire “grazie” ma solo “grazi” e “grazia”, solo dopo le lezioni della sottoscritta e al terzo tentativo riuscirà a dirmi un “grazie”.
La parola dopo che mi viene in mente, grazie al gin bevuto alla goccia, è l’intercalare bolognese che esprime meraviglia ma è di una certa volgarità: “socc’mel”. Dopo averglielo ripetuto due volte, lo ripete alla perfezione includendo l’accento inglese ben marcato.
Bravo Yannis, ora ne sai tre di parole.
Dopo le minchiate sparate da questo ragazzino di 24 anni, in realtà ne mostra dieci in più ma va beh, si arriva alle cose serie: io e Simo siamo a Bruxelles. Siamo andate per i Foals prima a Edimburgo e ora a Bruxelles, dall’Italia. I Foals in Italia ci tornano?
Yannis ci dice che certi posti è meglio saltarli e che l’Italia è un buon posto per le vacanze (= no grazie, l’esperienza del 2008 è stata una merda e vengo lì giusto per passare le vacanze).
Dopo questo gli dico che fa bene e che non ci sono problemi: tanto li seguo all’estero!

L’aftershow è un devasto: io, Simo, Martina e Lidjia arriviamo a questo Magasin4, un locale più piccolo dell’estragon, ma meglio organizzato, dove a mettere su buona musica ci sono Caribou, Edwin e infine Dave.
Un’ondata di pura elettronica fuori di testa invade il locale, in cui la birra costa meno di due euro e non sà di marcio come quella del covo, e tra il dj set di Edwin e quello di Dave finiamo sul palco grazie a colui che prima ci ha fatto entrare al Botanique per il concerto e poi in questo Magasin4.
Conosciamo batterista degli Invisible, un vero e proprio gentleman e amante del Chianti, che ci fa conoscere un backliner dei Foals: con questi tre finiamo tutte sul palco del dj set e balliamo\beviamo\scrocchiamo birra.
Un tizio della security, che parla in francese e IO NON CI CAPISCO NIENTE, anche perché in corpo ci avevo litri di alcool, ci invita ad andarcene dopo un quarto d’ora: a un certo punto un nano con la spugna in testa mi guarda e urla “No no, stay here” seguito da “Sorry but he has no power” e seguito da “Security man is a dickhead”. Yannis è UN MITO.
Dopo pochi minuti, però, si rientra di nuovo sul palco del dj set, grazie a un dj del posto che dice al “dickhead” che è tutto apposto e che siamo con loro = edwin-yannis-dave-johnny e compagnia.
Si balla, si beve e si scroccano litri di birra di nuovo.
Finisce il dj set di Dave, strepitosa “Spanish Sahara” remixata, e si torna giù dal palco.
I Foals, musicisti, se ne vanno ma restiamo sempre in ottima compagnia con Invisible e i due che lavorano con i foals: si parla di musica, dell’alcool, della situazione di merda che c’è in Italia (conoscono bene lo scandalo “bunga bunga” e il fatto che il nostro presidente di ‘sta ceppa stia distruggendo l’Italia), dei concerti in zona e delle tre parole in italiano in questione: “grazie”, “cazzomerda” (che gli ho tradotto come una sottospecie di holycrap) e il solito intercalare. Le lezioni di italiano funzionano bene e bastano solo due tentativi per sentire queste parole con un bellissimo accento inglese (contate che in corpo avevo litri e litri di alcool e niente sangue).
Tornando al discorso “concerti in Italia”, il batterista degli Invisible, che sostituisce “l’originale”, ci dice che verranno a Bologna presto (a quanto pare sono stata piuttosto convincente parlandogli dell’ottimo vino rosso che c’è), mentre qualcun altro ci ripete che al momento i Foals in Italia non ci vengono perché vendono poco e sono sconosciuti…
Scoppio a ridere perché gli Invisible sono i veri sconosciuti in Italia, ma anche in questo caso si ripete il concetto “Nessun problema, vi seguiamo volentieri per l’Europa”.
Tra ragazzi più provoloni, che ci provano alla fine anche in maniera spudorata e senza un briciolo di buon senso bruciato dall’alcool, e altri più timidi e veramente gentlemen si torna ubriache marce in hotel dal quale ne usciremo un’ora dopo, alle 6, per andare a prendere un aereo.

Com’è Bruxelles?
Ma che ne so e chi l’ha vista poi. Quello che so per certo è che l’evento di sabato sera è stato un qualcosa di EPICO.

Ora mi piscio addosso!

Due secondi prima che iniziasse “Blue Blood” ho urlato, e meno male che erano tutti scozzesi gli altri intorno, a Chicca proprio il “Ora mi piscio addosso”.
In realtà non avevo proprio quello stimolo eh, ero solo troppo emozionata. Forse troppo emozionata da farmi venire un attacco d’asma improvviso, e meno male che avevo il ventolin.

Il 30 ottobre sono arrivata qui proprio con Simo:

Questa nella foto è Edimburgo, una città meravigliosa con gente meravigliosa e un freddo impossibile da affrontare.
Risate a non finire, freddo gelido al quale mi sono adattata alla perfezione, pioggia devastante e ballerine ai piedi, arti distrutti, cazzate sparate al secondo: tutto questo fa parte dei 4 giorni nella città scozzese passati con la mia compagna di viaggio, Simo.

Motivo del viaggio solo uno, solo una band: Foals.
“Chi cazzo sono i Foals?” Nel nostro paese non sono conosciuti come all’estero, ma questi hanno tirato fuori l’album più bello del 2010, si girano mezza Europa tra novembre e dicembre, senza venire in Italia, e la loro musica ha fatto ciò che hanno fatto tanti amici in questo periodo per me (=sollevarmi\\sopportarmi\\supportarmi).

Il giorno del concerto è un delirio dietro l’altro. A parte che noi italiani ci presentiamo davanti al luogo dell’evento ore e ore prima, mentre gli scozzesi\inglesi no: le prime persone per il concerto dei Foals al HMV Picture House arrivano 5\10 minuti prima dell’apertura porte e la fila è PERFETTA, senza coglioni che passano davanti, spingono o via dicendo.
Ci sono tre ragazzi italiani in Erasmus che ci danno delle pazze solo perché “il motivo principale del viaggio è il concerto dei Foals”: non saranno gli unici.
Si entra in maniera ordinata e tranquilla nel locale, parecchio largo ma non grandissimo, che verrà riempito completamente prima dell’esibizione dei Toro Y Moi.
Ad aprire le danze ci pensano i PetMoon, band dell’ex puledro Andrew Mears, arrivata al loro quinto concerto.

Il trio di Oxford presenta un Math Rock piuttosto particolare, con ottimi arrangiamenti e una discreta presenza scenica: questi tre ragazzi se la cavano piuttosto bene per essere agli inizi!
Andrew Mears ha una voce singolare che varia da canzone a canzone, a tratti piace tanto ma in altre occasioni un po’ meno, e che si mostra essere un buon frontman.
Dopo tre canzoni dei Kings of Leon, che segnano il passaggio da una band all’altra, sul palco del locale scozzese arriva un altro trio, quello dei Toro Y Moi.

Questa band sperimentale-elettro è davvero molto valida, capace e capitanata da un altro frontman giovanissimo alla voce\synth.
La band crea atmosfere sognanti e poco danzerecce che catturano, e tanto, l’attenzione di chi sta ascoltando: sono veramente bravi, la voce è molto semplice e pulita e le sonorità sono molto suggestive.
Finiscono loro e io inizio a preoccuparmi seriamente.
Prima una sottospecie di attacco di panico che mi fa mancare il respiro, ma per fortuna ho la mia droga che mi aiuta, e poi la frase-titolo del post in questione.
Sto male, di testa, e l’unico posto in grado di gestirmi in quel momento è un manicomio.
Luci basse, fumo maledetto e i magnifici cinque che salgono sul palco. Io e Simo siamo sotto al nano greco, che detta così…

Iniziano con l’intensa Blue Blood e mi sento morire dentro. Sono paralizzata, non riesco a fare niente e solo a metà canzone inizio a cantare.
A un certo punto mi accorgo di essere osservata dall’alto, molto in alto dato che quell’uomo è un vatusso, dal bassista dei Foals, Walter, che mi fissa peggio di un maniaco.
Inizia “Olympic Airways” e la sottoscritta si sblocca: inizio a muovermi e a cantare, insieme a pochi altri dato che l’ambiente al lato sinistro del palco è tranquillo, e noto ancora che quel gigantone mi\ci fissa.
A un certo punto mi sveglio e mi rendo conto di quanto siano bravi Yannis, Jack, Walter, Jimmy e Edwin.
Continua il concerto e ho i brividi seguiti da pelle d’oca perché non realizzo e non posso credere a ciò che stanno facendo questi cinque di Oxford sul palco.
Il loro genere è fuori dal normale: c’è tantissima improvvisazione e tanta tecnica nella loro musica, si potrebbe parlare di progressive rock à la foals ovvero con netti riferimenti all’elettronica ed effetti piuttosto suggestivi.
La presenza scenica è allucinante: anche se ci fosse uno solo di loro su questo palco, riuscirebbe a tenere tra le mani l’intero pubblico della location.
Yannis è un pazzo schizofrenico con una voce MOSTRUOSA e con un corpo pieno di rabbia pronto ad esplodere… Ed esplode alla perfezione dopo Total Life Forever: corre in giro per il locale, fa le scale e arriva sulle balconate, dove vorrebbe buttarsi giù per nuotare tra il pubblico ma la sicurezza lo blocca dato che il posto dal quale vorrebbe buttarsi è troppo in alto; torna giù velocemente per le scale, scivolando e dando una culata a terra (lui già è basso, se poi cade non lo si vede più), ma poi si rialza e torna sul palco per terminare lo sfogo di rabbia (Two Steps Twice). Su Electric Bloom sale sugli amplificatori, non sa come scendere, e poi spicca il volo rischiando di rompersi ginocchia\caviglie; rischia, poi, di ammazzare più volte Jimmy, alla chitarra, col microfono; poi balla, si scatena, salta, urla, picchia su un tamburo come se vorrebbe spaccarlo, strimpella, vorrebbe lanciare qualsiasi cosa per aria, vorrebbe uccidere qualcuno.
Un frontman che va oltre all’essere frontman. E’ geniale. E’ un pazzo.
Vogliamo parlare di Walter al basso? E’ un mostro e segue quell’altro ragazzotto rossiccio che picchia e pesta come se avesse Satana (Dave Grohl) in circolazione nelle sue vene: sicuramente è uno dei migliori batteristi del momento.
Edwin alle tastiere, intanto, crea quelle melodie psichedeliche che farebbero ballare pure un sasso e Jimmy mostra grande tecnica alla chitarra, si muove tanto e rischia la morte più volte.
Spanish Sahara è la canzone del 2010, intensa e un crescendo di emozioni: si urla e,allo stesso tempo, vedo gente che si asciuga le lacrime e poga (Sì, nel mezzo si poga ma non è come il massacro in Italia).
Prima di Two Steps Twice, che chiude il concerto, arriva una delle due canzoni inaspettate, ovvero Hummer (l’altra è What Remains che mi fa paralizzare di nuovo): Hummer è meravigliosa, ma quei grandissimi pirla dei back-vocalist si sono dimenticati del “shine like million”.
Il concerto dei Foals si rivela un’esplosione, a livello vocale-strumentale e corporeo, intensa caratterizzata da armonie e ritmi a tratti leggeri e, altri, molto coinvolgenti e ricchi di emozioni tutte diverse, urlate a pieni polmoni da quel FRONTMAN che fa PAURA tanto che è bravo.
L’età media è di 26 anni: trovare un gruppo che a ventisei anni fa concerti con un’energia del genere è davvero raro.
Live, quasti puledri selvaggi, sono una band superlativa e con un carisma unico, ai livelli di altri gruppi che fanno musica e concerti da anni e anni.
Band da rivedere e che fa venire la pelle d’oca.
Mi verrebbe quasi da dire che su album i Foals fanno veramente schifo rispetto al live: se non avete visto i Foals in concerto, non potete capire.

Setlist
1.Blue Blood
2.Olympic Airways
3.Total Life Forever
4.Cassius
5.Balloons
6.Miami
7.After Glow
8.2 Trees
9.What Remains
10.Spanish Sahara
11.Red Socks Pugie
12.Electric Bloom
Encore:
13.The French Open
14.Heavy Water \ Hummer
15.Two Steps, Twice

La ragazza del toast!

Io lo sapevo e, inoltre, NON si può andare contro la parola di un SIGNORE di nome Steven Patrick Morrissey.
Nonostante avessi un’ansia incredibile, la stessa che mi venne solo ad un altro concerto, quello degli Interpol a Ferrara, sapevo che i Courteeners non mi avrebbero delusa.
Si arriva alle 15 a Madonna dell’ Albero, dove sta il Bronson, con Meme e Dimi, giusto per cazzeggiare un po’ e iniziare a scaricare l’ansia con qualche litro di birra, non è che alle 15 posso scolarmi vodka\gin “lemon”.
Si arriva e 3 componenti su 4, manca Liam ovviamente, sono nel bar di fianco al Bronson per fare aperitivo: inizialmente la paura ad avvicinarmi è non alta, di più.
Intanto, mentre prendo la prima birra di una lunga serie al bar, incontro un ragazzo inglese disperato che vuole un toast e vorrebbe dire alla proprietaria se il toast si può tostare: quando bevo un pochetto capisco meglio l’inglese e lo so parlare in maniera più decente, quindi capisco quello che il ragazzo vorrebbe dire alla proprietaria e riesce a conquistare il suo toast.
Scoprirò dopo che ‘sto ragazzino è il tizio del merchandise.
Birra numero due e voglia di avvicinarmi ai 3 componenti della band su 4 è alta, ma so di essere una rompicoglioni pesante e quindi evito di avvicinarmi: solo dopo la terza birra riuscirò a parlare con Daniel (chitarra), non era al tavolo con gli amichetti in quell’istante, che ci guiderà, noi poveri tre disperati, verso il tavolo dove ci sono gli altri, Michael (batteria) e Mark (basso).
“Please, join us!”.
Mark proprio questo doveva dire.
Beh insomma: questi Courteeners, dalle 16.30 alle 18.40, più che dei musicisti mi sono sembrati dei compagni di corso del DAMS: “Studi?” “Sì, musica a Bologna. Una sottospecie di Performing Arts ma indietro anni luce dato che siamo in Italia” “Pure io studio Musica (a Manchester), a che anno sei?” “Secondo”.
Intanto aperitiviggiamo con loro che ci lasciano alle 18.40 per il soundcheck.
No. Questi qui non fanno parte di una band, sono amici di università.
Ok basta.
Il resto sono partite a ping pong e altra birra, fino alle 21.45 quando aprono il bronson e non c’è NESSUNO.
Mi avvicino al merchandise e: “Oh my god! You’re the girl who has helped me this afternoon!”. Per il tizio del merchandise sono la ragazza del toast.
I Courteeners inizieranno a suonare alle 23, ma del concerto non dico nulla dato che devo scrivere poi per radionation, e finiranno un’ora e un quarto dopo.
Quello che succede dopo si chiama delirio e le TANTE figure di merda sono frutto dei litri di birra bevuti in un certo periodo di tempo.
Un ragazzo si avvicina e chiede se restiamo in zona per un set acustico. Non capisco nulla e gli caccio prima un “No, sorry”..poi “What?!?!?! Fuck! Yeah!”.
Si vede un ragazzo alto, con pantaloni super aderenti, Brandon Flowers se vedesse Liam Fray con pantaloni aderenti si sentirebbe a disagio, e con chitarra acustica: “You’re Peter Doherty…with this hat…but with a better voice”. Liam inizia a suonicchiare allegramente, e con tanta vodka lemon per il corpo.

Mai gli avessi chiesto di suonare “Bide your time”.
A un certo punto di questa, il caro Liam, che del Gallagher non ha niente se non il taglio di capelli, non si ricorda tanto la canzone, si avvicina e mi chiede di continuare. Inizio con una parola…e poi. Il vuoto. Mi richiederà di nuovo un qualcosa della canzone e questa volta ce la faccio. Mai lo avessi fatto: si avvicina di più e mi schiaffa un bacio sulla guancia. “Tere sei bordeaux”. E’ l’alcool. Sono felice del fatto che questo cantante fosse Liam Fray e non Adam Green, essere che si limona qualsiasi cosa abbia un paio di tette.
Il resto è un set acustico meraviglioso nel “camerino” stracolmo di alcool e cibo con loro: la band offre da bere ai presenti e niente.

Fino all’1.40 Liam e compagni suonano qualcosa ai “pochimabuoni” presenti, poi tutti vengono sbattuti fuori dalla security: tra foto, deliri, ricordi, scambio di e-mail e una cosa del tipo “No, non venire ai festival. Ci rivedremo tra settembre\ottobre qui in Italia”.
Mark è affidabile, è il meno sbronzo e quindi aspetto ottobre per rivederli.
Liam è un ottimo frontman e posso dire una cosa? Ha riempito di baci, sulla guancia non pensate male, la sottoscritta, ha continuato poi con una battutina molto provola, seguita da un dolcissimo -tranquilla-sto scherzando-grazie per essere venuta-.
La sottoscritta in quel momento pensava fosse in compagnia di Damon Albarn, nel senso che ora si è aggiunto un altro personaggio da adorare.
Lo ripeto: questi qui sono amici che incontri in università, ma sfortunatamente studio a Bologna e non a Manchester, per ora.